mercoledì 25 novembre 2009

L'Università che vogliamo

Inauguriamo il blog riprendendo questo articolo di Francesco Polacchi dal sito dell'Avgvsto Movimento sull'università che vorremmo. Non solo parole ma Idee che diventano Azione.

(Tutti gli articoli di riferimento si trovano sul blog dell'Avgvsto)




L'università che vogliamo




Oggi si vive un momento molto particolare per l’Università italiana che viene colpita da più parti e su più livelli.
Cominciando dalle ultime novità in materia di legge, che prevedono la possibilità di trasformare gli atenei italiani in fondazioni di diritto privato permettendo, in futuro, a interessi privati di subentrare nei consigli di amministrazione e, al di là di scopi di mecenatismo, di usufruire delle strutture e delle ricerche che vengono condotte all’interno. Questo è quindi l’ennesimo atto di smantellamento dell’università pubblica appartenente allo stato sociale, ossia alla “cosa pubblica”.

Partendo proprio dal concetto di “res publica”, oggi lo Stato dovrebbe essere l’integrazione spirituale alla vita di un Popolo che si riconosce nella storia e nelle tradizioni dei propri Padri che hanno vissuto entro certi limiti geografici: la Nazione. L’idea di Stato è quindi la sintesi etica della comunità di Popolo che vive la Nazione. Esso deve aspirare alla formazione per la crescita delle nuove generazioni e adempiere il proprio destino. Per questo c’è bisogno di un continuo ricambio al proprio vertice e che siano i giovani, più volenterosi e attivi, a farsene carico.

Il luogo per eccellenza fruitore di una sana educazione alla vita della comunità nazionale e della specializzazione professionale e tecnica in una visone organica dello Stato è l’Università.
Domanda: oggi è veramente così? Lo Stato garantisce, secondo un’equa considerazione dei diritti e dei doveri del cittadino, la possibilità di avere un’istruzione che non sia semplicemente un’impartizione nozionistica su base manualistica? La risposta è ovviamente no.

Leggendo le considerazioni che Nietzsche faceva sull’università tedesca e di Le Bon su quella francese di fine ‘800, capiamo quanto esse siano attuali. Oggi assistiamo infatti allo svilimento della cultura nel suo aspetto più puro, ossia nella ricerca. Bisogna però fare un distinguo importante: per ricerca non si intende solo quella scientifica e tecnica, ma anche quella umanistica che è stata completamente sormontata e declassata negli ultimi tempi, in favore proprio di quella sopracitata che crea però un approccio del tutto diverso nella vita di tutti i giorni. Se è vero che bisogna ammiccare al progresso e alla tecnologia senza perderne il controllo (il rischio è quello di essere sottomessi dalla tecnica anziché saperla sfruttare), non è ammissibile che ci sia così poco riguardo per tutte quelle discipline che nella storia hanno elevato l’Uomo a “non essere solo ciò che mangia”, ma anzi sono riuscite a creare le basi culturali favorevoli allo sviluppo delle civiltà che si sono susseguite. Di fatto possiamo dire che la salute dell’Università possa essere indice del grado di civiltà a cui una determinata società/comunità sia arrivata. Per civiltà intendo la capacità di un popolo di aspirare ai valori assoluti di Giustizia, Bene e Bellezza sapendoli adattare al tempo e allo spazio (evoluzione del diritto, tipologia di architettura…).

Sempre nell’articolo su Nietzsche si legge come egli avesse notato che la cultura si andava adattando all’uomo sovvertendo la vecchia abitudine in cui era lo studente che doveva avviarsi a un percorso di crescita. Ciò avveniva e avviene tutt’oggi in quanto si vuol far conoscere un po’ di tutto a tutti. Dunque la televisione. Informazioni su informazioni, riempire la testa di informazioni tanto da far sembrare a chi le riceve di essere dinamico, non accorgendosi invece della passività cui è portato. Questo diviene il primo passaggio verso la standardizzazione del pensiero generale che ci porta palesemente verso il “pensiero unico”, ossia sulla divisione delle analisi legate più al gusto che non alla scelta profonda dell’individuo. È così infatti che si è creata nell’ultimo secolo la finta battaglia ideale, comunque dualista, tra liberal/capitalismo e comunismo: che differenza c’è nella sostanza, e non nella forma, tra globalizzazione e internazionalismo, tra le due forme di materialismo (del denaro e dialettico/storico) che portano comunque sempre all’assenza di una visione della vita e della cultura che sia “al di sopra dello stato del bisogno”, e nelle lotte di classe del ricco contro il povero o della classe “proletaria” che si arroga gli stessi privilegi delle classi più abbienti?

Starà comunque ai giovani essere in grado di rimettere le mani sul proprio presente per costruire il proprio futuro, è la giovinezza che deve salire al potere. L’idea di giovinezza! Essa non è un periodo della vita, ma una mentalità, una forma mentis, uno stato d’animo.
È la giovinezza che deve farsi carico, per dirla con Heidegger o con Mazzini (in foto), della missione spirituale di un popolo. Una volta apportata questa rivoluzione esistenziale ci sarà bisogno di una maggiore rappresentanza studentesca all’interno dei vari organi istituzionali universitari che portino una ventata di originalità e partecipazione alle attività comunitarie.

Si deve ritornare alla costituzione dei giochi sportivi, come quelli della gioventù, in cui far prevalere i concetti di sportività e sana competizione tipo spirito olimpico (quello antico non quello attuale).
Si deve ricostruire, inoltre, un nuovo rapporto tra uomo e natura cercando di trasformare le università in dei laboratori di crescita e sviluppo delle energie alternative, riuscendo cioè a essere in grado di sfruttare tutte le opportunità che essa ci offre.

In conclusione l’ambizione della nuova generazione deve essere quella di scrivere l’enciclopedia di tutte le scienze, a Le Bon non piacerà, basandosi sullo studio più raffinato, approfondito e meticoloso alla materia che viene presa in esame. Essa non deve essere vista come sapere statico, come assenza di attenzione verso il singolo o come inculcazione di nozioni da recepire e subire. Il concetto di enciclopedia non deve escludere l’attività manuale o fisica e deve essere un ampliamento delle conoscenze di base anche per la formazione del carattere e della personalità del singolo. È fondamentale che ci sia questa aspirazione perché essa starebbe alla base della conoscenza generale su cui poter intervenire inserendo i propri studi, o dal quale se ne possano ricavare testi sintetici per le scuole primarie. Sta alle nuove generazioni creare attenzione sulla cultura, e promuovere ogni forma di studio. Non è certo la staticità da manuale che bisogna ricercare, ma un lavoro di squadra finalizzato alla condivisione del sapere per tutto il popolo italiano, e al fornire strumenti specifici e migliori per chi vuole intraprendere studi più dettagliati. Come fece la Treccani durante il fascismo.

Mio caro Le Bon le masse si basano su istinti irrazionali che li portano a distruggere anziché a costruire, è vero, ma se guidate, non solo da un capo carismatico bensì da un’avanguardia del pensiero e della politica, esse possono maturare e trasformarsi in Popolo e il Popolo necessita di un’educazione e di un’istruzione a 360 gradi.



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